Alè attenta tribù del Design, ben tornati al nuovo appuntamento con il blog, vorrei sottoporvi un tema molto importante sotto il profilo filosofico, etico e sociale, il DESIGN SOSTENIBILE
La sostenibilità ambientale, configura una diversa modalità di guardare al ruolo sociale del progetto.
Ritorna fortemente la necessità di “ fare con meno” , analizzando tutte le fasi del progetto fino al packaging e anche e soprattutto al suo fine vita. Bruce Sterling afferma ne “La forma del futuro”, PENSARE IN TERMINI TEMPORALI E’ UNA VISIONE MORALE DEL MONDO!
Parliamo quindi di Design Antropocentrico, concentrando l’attenzione sulle persone, sulle loro aspirazioni, necessità e felicità, sulla possibilità del miglior utilizzo delle cose e vita in un idoneo contesto generale ambientale, culturale e psicologico.
In uno scenario sempre più green dove la presa di coscienza e responsabilità nei confronti dell’individuo, portano il design a rivedere il metodo progettuale. Tra i capofila di questa metodologia progettuale green ed eco si distingue la figura dell’Architetto Giorgio Caporaso che ho avuto il piacere di intervistare per voi.
Giorgio Caporaso Architetto e Designer dell’anno per creatività e sostenibilità, insignito del prestigioso premio “TOP DESIGN OF THE YEAR” di GrandesignEtico
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Gentilissimo Arch. Caporaso, noi di Materia, abbiamo voluto trattare un argomento così importate come il Design Sostenibile, non definendolo una tendenza, piuttosto un’assunzione di responsabilità nei confronti dell’individuo e delle risorse che non sono poi così inesauribili.
N – Le chiedo, cosa le ha fatto pensare che i criteri ed i paradigmi per il progetto sostenibile e per il processo edilizio, potessero essere mutuati ad un complemento d’arredo?
G – Tra l’architettura e il design c’è un filo rosso – o verde nel nostro caso – che risiede nella sensibilità di cercare risposte ai bisogni abitativi e pratici calandoli nel contesto ambientale nel quale viviamo. Oggi come sappiamo non è più possibile ignorare questo aspetto. Tuttavia, inevitabilmente, la creazione di un prodotto di design ‘sostenibile’ segue una sua strada distinta dai criteri del processo edilizio. Il prodotto infatti è molto vicino all’uomo, tanto da doverlo seguire nel suo quotidiano. Infatti deve svolgere al meglio la sua funzione, deve facilitare la vita, venire posato e spostato ed essere realizzato con la giusta dose e tipo di materiali ed energia. Tutti questi aspetti devono essere valutati pensando al ciclo – o ai cicli di vita – del prodotto. Lo studio di un arredo o di un complemento sostenibile richiede molto tempo, perché molte volte si raggiunge un risultato ma poi la sua analisi è da trascorrere nella continua ricerca di soluzioni, perché si scoprono nuovi materiali, nuove attrezzature, nuovi processi, etc . E’ quindi un processo di pensiero circolare, nel senso di continuo, particolare e molto articolato, che si realizza nella continua sperimentazione di soluzioni e materiali, ma soprattutto nel costante ripensamento delle risposte via via raggiunte per un loro miglioramento possibile.
N – Secondo Lei è più semplice progettare tenendo conto dell’anima dei materiali e di una metodologia ecosostenibile, oppure alla fine ci si imbatte comunque in scenari “sicuri” liberi da responsabilità ed in “reticenti innovatori”?
G – La gente è portata per natura a cercare risposte semplici. E’ un fatto naturale con il quale anche il designer si confronta costantemente. La forza dell’innovazione nel campo del prodotto sta nel riuscire a dare soluzioni semplici che però nascondono un percorso complesso che ha già tenuto conto ed ha affrontato a monte molteplici parametri. E nel progetto di un prodotto sostenibile questa complessità aumenta. L’obiettivo progettuale sarebbe quello di dare alle persone un oggetto che sia strumento e compagno di uno stile di vita normale, che competa con la produzione tradizionale di tipo lineare, ma con in più un approccio ad un economia di tipo circolare, più sostenibile. Ma senza che questo debba comportare delle rinunce rispetto al prodotto realizzato con approccio tradizionale, anzi. In modo che le persone abbiano la possibilità di scegliere. A mio avviso la gente sta cambiando la propria mentalità ed è molto più cosciente rispetto ad anni fa. Il ragionare su componenti e processi produttivi sta entrando nella mentalità collettiva come una rivoluzione silenziosa, perché sempre più la gente inizia a prendere coscienza verso la salute dell’ambiente. Ed inizia a prendere coscienza dell’importanza della sua scelta di acquisto.
N – Quali le caratteristiche necessarie perché un progetto di design possa essere definito Ecosostenibile?
G – Come accennavo prima, il progetto ecosostenibile è molto complesso perché deve ragionare su maggiori fattori e parametri, sia sui materiali e sui processi produttivi, ma in più si deve interrogare sulla “qualità” di vita del prodotto dopo la sua produzione e pensare anche al suo fine vita. Deve garantire al prodotto una vita lunga il più possibile, pensando anche ad aspetti come la riparabilità, la personalizzazione, la trasformabilità per sopravvivere al cambiare delle mode e degli ambienti e combatterne, se possibile, l’obsolescenza anche di tipo “semantico”.
N – Cosa lo ha spinto a pensare che un complemento realizzato in cartone alveolare, un materiale povero ed normalmente utilizzato per il packaging, potesse essere esso stesso arredo protagonista e portatore di bellezza?
G – Principalmente io ho utilizzato e utilizzo il cartone Ondulato, di vari spessori e stratificazione di onde. Sicuramente più del cartone alveolare, perché è il materiale che mi ha permesso di raggiungere alcuni obiettivi che mi ero prefissato, e perché mi piace una certa texture che si viene a creare. Li ho comunque sperimentati tutti e due oltre anche altre tipologie di cartone e cartoncino teso. Il cartone se usato in certi modi può essere un materiale estremamente sensoriale: è particolare al tatto, alla vista e, grazie all’aspetto differente delle sue superfici e del suo spessore, si presta ad essere oggetto di suoi particolari effetti plastici, differenti da qualsiasi altro materiale. Con il mio percorso ne ho studiato le caratteristiche, sia da solo che “contaminato” con altri materiali, cercando di esaltarne alcuni per renderlo il più performante possibile. L’idea di associarlo anche ad altri materiali mi ha permesso di creare interessanti effetti e di aumentarne la resistenza e la solidità, preservandolo il più possibile. La contaminazione per me è un valore.
N – Semplicità, visione e circolarità, possono essi definire il concetto di Bellezza?
G – Parlare di bellezza è sempre un argomento delicato, anche perché la bellezza dipende principalmente dall’osservatore, dal suo vissuto e dalla stratificazione delle sue esperienze, oltre che dalla sua educazione e dai valori riconosciuti dalla società a cui appartiene. Oltre ad altri e ulterioriaspetti, anche complessi. Diciamo che Semplicità, Innovazione e Circolarità per me sono aspetti che concorrono a costruire il concetto di bellezza di un oggetto, sia fisico che di tipo digitale.
N – Potrebbe parlarci della Sistematicità e la trasformabilità in un ottica di Green Economy e di circolarità?
G – E’ un discorso ampio che avrebbe bisogno di uno spazio dedicato per poterne approfondire l’argomento. E sarebbero necessari anche vari altri contributi. Sicuramente due degli aspetti che avranno sempre maggior peso e con cui dovremo sempre più confrontarci nel futuro saranno: sistematicità e complessità. Sistematicità perché tutto diventa sempre più legato ed interconnesso, sistemico e diffuso, ed ogni azione può produrre conseguenze più difficili da circoscrivere. Per fare un esempio anche semplice e un po’ banale: se viene sversata una certa quantità di olio usato, altamente inquinante, in maniera scorretta in un tombino della strada (oppure in un corso d’acqua), e non viene smaltito correttamente come previsto per gli oli usati, questo (oltre che essere illegale) potrà avere conseguenze anche a km di distanza, in altri ecosistemi. Eppure una volta sparito nel tombino (o nel corso d’acqua) io non vedo più la presenza della mia azione, e posso illudermi che sia sparita, ma invece questa avrà gravi conseguenze, ampie e durature, molto lontane da dove è stato svolto il fatto. Complessità, perché è un altro dei fattori in aumento e ci costringerà a gestire sempre più situazioni, a livelli differenti. Facciamo solo un esempio di quanti più sistemi di comunicazione dobbiamo gestire attualmente rispetto a solo 30 anni fa, e questo aumenta la complessità della gestione dei nostri tempi e modalità comunicative. Se ne potrebbero fare molti altri di esempi.
N – Le parole “osare”, “sperimentare”, sicuramente ci impongono ad andare “oltre” e le stesse, del resto, sono racchiuse nella parola progetto con annesse difficoltà e limiti. In quali difficoltà ci si imbatte ogni qualvolta il progetto si spinge oltre quei limiti?
G – Il mio lavoro mi porta costantemente a lavorare su un territorio di frontiera, a cercare novità e sperimentarle, consapevole che solo la sperimentazione ti permette di arrivare a risposte diverse. la curiosità, poi, è un alimento indispensabile del progetto. Spesso devi cambiare strada, abbandonare la via conosciuta e sicura per esplorare nuovi percorsi. Le difficoltà non sempre sono negative, perché è in quella zona che forse riesci ad andare oltre. Ma non sempre si riesce.
N – Lessmore è una azienda conosciuta come uno dei punti di riferimento nella ricerca green nell’arredo, della quale Lei è art director e designer. Da circa due anni è anche Art Direttore e direttore del design Parasacchi Home, nella quale ha già iniziato ad introdurre alcuni approcci green. Sono due aziende, con le quali è stato presente sia al FuoriSalone del Mobile di Milano che alla “Milano Food City”; Lessmore con i suoi complementi in cartone assemblati a secco, e Parasacchi Home con una particolare reinterpretazione e riutilizzo delle bobine industriali in plastica che hanno contraddistinto l’azienda Parasacchi, rendendoli oggi inediti complementi per il Living ed inoltre sta sperimentandone anche l’utilizzo di nuovi materiali ecosostenibile.
Cosa prova quando riesce ad ideare un oggetto al quale ha dato una nuova vita, quando uno scarto diventa risorsa?
G – Per me uno ‘scarto’ non è solo un avanzo di qualcos’altro, ma può diventare un elemento da esaltare. Cerco infatti di creare oggetti che non diano mai un’idea sacrificante, ma che diano invece la sensazione opposta, ovvero quella di essere prodotti di ultima generazione rispondenti ad una sensibilità molto attuale. E’ questo l’orizzonte entro cui cerco di svolgere il mio lavoro.
N – Ho trovato bellissima ed attualissima la citazione del libro di Philip K. Dick “Do Androids Dream of Electric Scheep (1968)…”MA GLI ANDROIDI SOGNANO PECORE ELETTRICHE?” ad un suo recente intervento al TEDx Varese 2018. Potrebbe dare qualche consiglio ai cari giovani designer per affrontare le loro sfide di idee e del progetto?
G – Vorrei dire solo di non cedere mai ad un’idea stereotipata di progresso e di ricordare sempre che siamo uomini che vivono su questo pianeta in cui la vita cerca sempre la sua strada, in ogni forma.
E’ sempre un grande piacere poter dare voce al Buon Design, grazie e arrivederci a settembre con Materia 18.
Evviva!