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DESIGN INDIPENDENTE, la sfida ambiziosa che parte dalla Calabria

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CDW vuole essere UN CONTENITORE CONCETTUALE in cui racchiudere le espressioni del DESIGN del sud Italia e non solo

Un progetto che analizza in maniera sensibile gli elementi peculiari e di connessione tra l’esperienza del FARE PRODUTTIVO dell’artigianato e della piccola impresa e la capacità d’innovazione che il DESIGN, con il suo linguaggio, traduce in AZIONE IDEATIVO-CREATIVA al fine di diventare sempre più la NUOVA MENTALITA’ PRODUTTIVA .

Per riuscire nel progetto e per non rimanere chiusi nei confini locali, si è deciso in questa seconda edizione 2017 di mettersi ancora di più in gioco sottoponendo l’intera manifestazione ad un’analisi identitaria ancor più specifica.

L’obiettivo è quello di diventare la PIATTAFORMA delle esperienze del Design “calabrese”, nella prospettiva di far sviluppare una nuova TEKNE’, un nuovo linguaggio tecnico basato su parametri territoriali imprescindibili:

LUOGO – IDENTITA’ – MEMORIA – TECNICA – SPERIMENTAZIONE – SOSTENIBILITA’.

Queste le basi della nuova immagine di CDWquesto il motivo per cui abbiamo deciso di introdurre una specifica identitaria MATERIA – intesa come madre e sostanza da cui altro prende forma.

Questa nuova IDENTITA’ del progetto deve e vuole portare alla luce le potenzialità del fare produttivo degli Artigiani, che basano il loro lavoro su tecniche e processi radicati nella cultura dei luoghi, nella memoria e nelle tradizioni, tramandando così un patrimonio di conoscenza e di tecniche che non va disperso, piuttosto canalizzato e guidato verso nuovi scenari.

In tale prospettiva, si rende necessaria una scissione del progetto in ideazione e produzione.

LA FIGURA DELL’ARTIGIANO CONTAMINATA DAL MODUS OPERANDI DEL DESIGNER, fa si che entrambi diventino elementi diversi ma complementari di un unico progetto caratterizzato da una forte identità territoriale.

D’altronde l’artigianato che conosciamo noi, non è altro che il risultato di una contaminazione derivante da “passaggi” e “presenze” del tempo, che danno origine a quella che oggi potremmo chiamare “influenza stilistica”.

Il design che vogliamo mettere alla luce e promuovere è quello che parte dall’identità del luogo, che crea un ponte tra FARE ideativo/creativo e fare pratico, tenendo ben presente il rapporto tra cultura del prodotto e cultura del fare. Da qui partire per promuoverne successivamente lo sviluppo della produzione e del mercato del nostro territorio.

Un ritorno al fare manuale visto sotto una NUOVA LUCE, quella dell’innovazione e della sperimentazione sulla materia.

L’AUTOPRODUZIONE, pratica cara ad Enzo Mari, deve diventare l’anello di congiunzione del FARE. ECCO PERCHE’ nasce MATERIA, il cui centro sarà il design indipendente e autoprodotto.

Articolo di Officine AD e di Natalia Carere

Design iconico: Gio Ponti

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“[…] la maggioranza degli oggetti per la nostra vita, sono oggi creati dall’industria, sono da essa caratterizzati […]” Gio Ponti

Ripercorrendo la lunga strada del design italiano d’autore, iconico, tra le figure più importanti ed incisive dell’evoluzione della cultura architettonica dal secondo dopoguerra, vi è il grande GIO PONTI.

Inquadrando meglio il suo pensiero, Ponti, cresce in un “neoclassicismo” di ritorno, che rappresenta uno degli esiti formali del dualismo fra modernità e tradizione artistica, misurandosi con un aspetto del progetto che si va facendo via via antitetico con la cultura del moderno, quello squisitamente ottocentesco, delle arti applicate all’industria.

Negli anni del dopoguerra Ponti, oltre ad incrementare i suoi rapporti con le aziende specializzate in produzioni tradizionali ma orientate alla serie alla collaborazione con i progettisti, indirizza tutti e tutto verso una virtuosa circolarità tra “stile italiano” e qualità materiale e formale del prodotto.

Tra gli innumerevoli progetti, poniamo oggi l’attenzione su una poltrona diventata “icona“ del nostro DESIGN ITALIANO…

… la D.154.2  disegnata per uno dei progetti più cari a Gio Ponti, la villa dei collezionisti Planchart a Caracas del 1953-57, fa parte della Gio Ponti Collection, curata da Molteni&C .
Oggi la poltrona, che è come un “guscio accogliente, ha una scocca in poliuretano rigido, una controscocca in poliuretano morbido e un cuscino, ed è rivestita nella gamma dei tessuti e delle pelli Molteni&C, con la possibilità di differenziare gli elementi.

Questa “love chair” vince nel 2016 il prestigioso Wallpaper Design Awards e diventa un’icona Molteni&C.

Gio PONTI, Villa Planchart e la poltrona D.154.2
Da sinistra: Gio PONTI, Villa Planchart e la poltrona D.154.2

Ponti scrive ai Planchart…” La vostra casa sarà leggiadra come una grande farfalla che, dopo aver attraversato l’oceano atlantico, si poserà dolcemente sulla cima della collina che sovrasta Caracas”.

Anche le linee svasate della poltrona D.154.2 ricordano questa immagine.

Cosa rende icona un oggetto?

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Oggetti senza tempo, nati da un mix d’innovazione e originalità, restano nella memoria collettiva. Come nascono i pezzi-icona del design e, soprattutto, come si riconoscono?

Le icone ci raccontano vita, idee, slanci e passioni delle Aziende e del costume del nostro Paese, tracciando un percorso che mette in luce una lunga tradizione di valori tra disegno industriale e innovazioni produttive. Alcuni oggetti d’uso quotidiano sono diventati simboli delle nostre esistenze, icone che resistono al tempo e alle mode.

L’architetto e direttore di Disegno-la nuova cultura industriale Stefano Casciani, afferma: «Trovare ultimamente nuovi O.I. (oggetti iconici) non è facile. Sono rimasti pochi gli imprenditori capaci di dare il loro sostegno a un oggetto nel tempo: caratteristica fondamentale di quelli che chiamo O.I. è innanzitutto la durata, come prodotti validi sia per l’uso sia per il mercato. Questi oggetti “evergreen” hanno vissuto e vivono una stagione gloriosa grazie al supporto d’investimento, commerciale e di comunicazione, da parte dei loro produttori. Persone che hanno continuato a credere e a fare in modo che, per essi, ci fosse vita nelle case e nel mercato. Esiste una ricetta per fare -progettare, produrre, vendere – un’icona? Posso ipotizzare un mix ideale di: intelligenza dell’essere e della funzione, simpatia formale, utilità intrinseca, stare nel tempo proprio e futuro, originalità, invenzione». 

Patrizia Scarzella, architetto e giornalista, segnala che: «per far diventare icona un prodotto, non esistono ‘best practices’… Si tratta probabilmente di una felice concomitanza di fattori che, complice a volte il tempo, concorre a generare quel “quid” immediatamente percepibile d’immagine “extra-ordinaria” che certi prodotti hanno e altri no. Alcuni designer hanno questo guizzo espressivo, questo tocco magico, questa capacità di trasformare le loro creazioni in icone: Achille Castiglioni è stato uno di questi e lo sgabello Mezzadro (design di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, 1957) è senza dubbio un’icona.

Si può dire quindi che, indipendentemente dalla loro funzionalità, oggetti come questi sono icone così forti da identificarsi con il brand di produzione. Capita anche che un prodotto diventi icona perché riesce a cogliere, con il suo spiazzante linguaggio espressivo e nel momento giusto, delle istanze latenti del pubblico, quello che c’è nell’aria, ma che non è ancora stato espresso in termini materiali da altri prodotti.