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MATERIA: le novità del direttore artistico Antonio Aricò

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La macchina organizzativa della IV edizione del Materia Independent Design Fetival è all’opera a ritmo serrato.

Grandi novità per il più importante festival del design del Sud Italia, ideato e organizzato da Officine AD degli architetti catanzaresi Domenico Garofalo e Giuseppe Anania, che si terrà a Catanzaro dal 19 al 22 settembre.

La direzione artistica di Antonio Aricò – designer calabrese molto apprezzato sulla scena internazionale,  espressione del vero senso del progettare italiano, fusione tra artigianato, design e poesia, creatore di oggetti iconici, consulente per aziende leader nel mondo come Seletti, Alessi e Barilla e conosciuto per “le storie e i racconti oltre il progetto” – sta già apportando una nuova linfa.

Aricò ha le idee chiare: “Con questa edizione porremo l’attenzione su riflessioni legate alla parola design che vogliono allontanarsi dal mondo delle ‘fiere di prodotto’, per focalizzarsi su operazioni comunicative che mirano a raccontare il fascino di una terra, la Calabria, che merita di essere narrata con nuova dignità.”

La parola design, ad esempio, sarà bruciata in un falò notturno sul mare; danze popolari saranno coreografate in chiave contemporanea dalla designer Sara Ricciardi, considerata tra le donne del design contemporaneo italiano più influenti; il “Ballo dei Giganti” darà vita alla storia d’amore di “Mata & Grifo”, presentata allo scorso Fuori Salone di Milano dal brand Altreforme e messa in scena da Valentina Fontana Castiglioni, Elena Salmistraro e lo stesso Aricò.

Il cuore della manifestazione sarà, come sempre, il Complesso Monumentale del San Giovanni che sorge sull’area del castello normanno, eretto nell’XI secolo da Roberto il Guiscardo e parzialmente distrutto nel Quattrocento. Gli eventi coinvolgeranno altri luoghi identitari del capoluogo calabrese, come il mare e le vie e i chiostri del Centro Storico.

E poi, non mancheranno le storie raccontate da noti designer internazionali, talk, esposizioni ed appuntamenti serali, in un mélange tra passato e contemporaneo.

Grande attenzione sulla mostra dedicata  ai giovani: un allestimento che metterà in risalto i progetti selezionati dalla Call “Materia-Oltre Design” che scadrà il 15 luglio – tantissime le richieste pervenute da tutta Italia e anche Oltralpe – per la quale è prevista una borsa di ricerca in collaborazione con la Caffé Guglielmo. I prodotti dovranno sviluppare la suggestione di un vero viaggio nel tempo per esaltare tutto ciò che è “storie” e tradizione; tempo-evoluzione, cambiamenti e storie antiche che rinascono. Artcraft design, tempo e materia ossia l’imperfezione che è bellezza. Potranno concorrere, ai fini della selezione, designer, artigiani e brand emergenti, mediante la proposizione di prototipi, produzioni e autoproduzioni, fisicamente realizzati. La call è riservata esclusivamente agli under 40.

“Con ‘Materia-Oltre Design’ – spiega Aricò – faremo un vero e proprio viaggio nella memoria, per esaltare storie antiche che rinascono fresche tra le strade, le ‘rughe’ del capoluogo della Calabria, centro del Mediterraneo.”

 

MATERIA DESIGN FESTIVAL

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Se il buongiorno si vede dal mattino, la IV edizione del Materia Independent Design Festival si prevede più che scoppiettante e coinvolgente.

Il più importante festival del design del Sud Italia, ideato e organizzato da Officine AD degli architetti catanzaresi Domenico Garofalo e Giuseppe Anania, si terrà a Catanzaro dal 19 al 22 settembre.

La macchina organizzativa è già al lavoro da diversi mesi, guidata dalla creatività del direttore artistico Antonio Aricò, il designer calabrese molto apprezzato sulla scena internazionale,  espressione del vero senso del progettare italiano, fusione tra artigianato, design e poesia, creatore di oggetti iconici, consulente per aziende leader nel mondo come Seletti, Alessi e Barilla e conosciuto per “le storie e i racconti oltre il progetto”.

Per Materia, dopo le 10 mila presenze registrate lo scorso anno, il 2019 sarà la svolta, in termini di maturità e contenuti, forte di una grande consapevolezza delle potenzialità che il territorio possiede.

E l’azione di Aricò parte proprio dalla parola identità e dalla volontà di celebrare la cultura più autentica e genuina dell’Italia meridionale, dove si fondono tradizione, manualità e antichi saperi tramandati di padre in figlio.

E allora, con il noto designer sarà “Materia-Oltre Design”, tema-espressione chiave di questa edizione: un vero e proprio viaggio nella memoria per esaltare storie antiche che rinascono fresche tra le strade, le “rughe” del capoluogo della Calabria, centro del Mediterraneo.

“Con questa edizione – afferma Aricò – porremo l’attenzione su riflessioni legate alla parola design che vogliono allontanarsi dal mondo delle ‘fiere di prodotto’, per focalizzarsi su operazioni comunicative che mirano a raccontare il fascino di una terra, la Calabria, che merita di essere narrata con nuova dignità.”

Qualche esempio? La parola design sarà bruciata in un falò notturno sul mare; danze popolari saranno coreografate in chiave contemporanea dalla designer Sara Ricciardi, considerata tra le donne del design contemporaneo italiano più influenti; il “Ballo dei Giganti” darà vita alla storia d’amore di “Mata & Grifo”, presentata allo scorso Fuori Salone di Milano dal brand Altreforme e messa in scena da Valentina Fontana Castiglioni, Elena Salmistraro e lo stesso Aricò.

Cosa accadrà allora in questa edizione del Materia Independent Design Festival?

Detta alla Aricò: “Si respirerà l’aria di una ‘festa di paese’, schiacciando l’occhio al mondo del design d’autore”.

 

MATERIA dal 19 al 22 settembre 2019 il Festival del Design del Sud Italia – Il designer Antonio Aricò firma la IV edizione

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Identità: da questa parola partono i lavori che condurranno alla IV edizione del Materia Independent Design Festival, il più importante festival del design del Sud Italia, ideato e organizzato da Officine AD degli architetti catanzaresi Domenico Garofalo e Giuseppe Anania.

MATERIA si svolgerà a Catanzaro dal 19 al 22 settembre 2019, con uno speciale pre-opening il 18 settembre.

Il cuore della manifestazione sarà il Complesso Monumentale del San Giovanni. Gli eventi coinvolgeranno anche le Gallerie del San Giovanni, l’Ex-Stac, il museo Marca e il Parco della Biodiversità-Parco Internazionale della Scultura e altri luoghi identitari del capoluogo calabrese.

Il primo anno era la scommessa, il secondo l’approfondimento, il terzo la conferma con circa 10 mila presenze. Il 2019 per MATERIA sarà la svolta, in termini di maturità e contenuti.

A firmare la IV edizione, come direttore artistico, sarà il designer calabrese conosciuto sulla scena internazionale ANTONIO ARICÒ, espressione del vero senso del progettare italiano, fusione tra artigianato, design e poesia, creatore di oggetti iconici, consulente per aziende leader nel mondo come Seletti, Alessi e Barilla e conosciuto per “le storie e i racconti oltre il progetto”.

E allora, con Aricò sarà MATERIA – “OLTRE DESIGN”, tema-espressione chiave di questa edizione: un vero e proprio viaggio nel TEMPO per esaltare le storie e le tradizioni; TEMPO-Evoluzione, cambiamenti e storie antiche che rinascono fresche tra le strade, le “rughe” del capoluogo della Calabria, centro del Mediterraneo.

Artcraft Design, Tempo e Materia, ossia l’imperfezione che è bellezza. Oggetti consumati dal sole, dal  mare e il fascino di una TERRA, la Calabria, che merita di essere narrata con nuova dignità.

Il lavoro di giovani designer provenienti da tutta Italia, le storie raccontate da noti designer internazionali, talk, laboratori, workshop, esposizioni ed eventi serali, sono i momenti che scandiranno la IV edizione del Materia Design Festival, in un mélange tra passato e contemporaneo.

Una sezione di MATERIA sarà dedicata al ricordo di ALESSANDRO MENDINI, da poco scomparso, tra i più importanti designer del ‘900 che ha regalato al quartiere marinaro di Catanzaro il mosaico più lungo del mondo.

LO STUDIO 400GON CONQUISTA IL MATERIA DESIGN FESTIVAL DI CATANZARO

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Diecimila presenze alla IIIa edizione del Materia Design Festival di Catanzaro che ha premiato il piatto Ciabattino per ‘fare scarpetta’

Nato e ‘cresciuto’ a Catanzaro, il Materia Design Festival ha compiuto tre anni a settembre 2018. Il festival mira a creare connessioni tra l’artigianato locale e la capacità di innovazione del design, facendo appello a progettisti internazionali con radici in Calabria, italiani in generale e stranieri.

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Il dualismo del design

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Alè attenta tribù del Design, ben tornati al nuovo appuntamento con il blog, vorrei sottoporvi un tema molto importante sotto il profilo filosofico, etico e sociale, il  DESIGN SOSTENIBILE

La sostenibilità ambientale, configura una diversa modalità di guardare al ruolo sociale del progetto.

Ritorna fortemente la necessità di “ fare con meno” , analizzando tutte le fasi del progetto fino al packaging e anche e soprattutto al suo fine vita. Bruce Sterling afferma ne “La forma del futuro”, PENSARE IN TERMINI TEMPORALI E’ UNA VISIONE MORALE DEL MONDO!

Parliamo quindi di Design Antropocentrico, concentrando l’attenzione sulle persone, sulle loro aspirazioni, necessità e felicità, sulla possibilità del miglior utilizzo delle cose e vita in un idoneo contesto generale ambientale, culturale e psicologico. 

In uno scenario sempre più green dove la presa di coscienza e responsabilità nei confronti dell’individuo, portano il design a rivedere il metodo progettuale. Tra i capofila di questa metodologia progettuale green ed eco si distingue la figura dell’Architetto Giorgio Caporaso che ho avuto il piacere di intervistare per voi.

Giorgio Caporaso Architetto e Designer dell’anno per creatività e sostenibilità, insignito del prestigioso premio “TOP DESIGN OF THE YEAR” di GrandesignEtico

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Gentilissimo Arch. Caporaso, noi di Materia, abbiamo voluto trattare un argomento così importate come il Design Sostenibile, non definendolo una tendenza, piuttosto un’assunzione di responsabilità nei confronti dell’individuo e delle risorse che non sono poi così inesauribili.

N – Le chiedo, cosa le ha fatto pensare che i criteri ed i paradigmi per il progetto sostenibile e per il processo edilizio, potessero essere mutuati ad un complemento d’arredo? 

G – Tra l’architettura e il design c’è un filo rosso – o verde nel nostro caso – che risiede nella sensibilità di cercare risposte ai bisogni abitativi e pratici calandoli nel contesto ambientale nel quale viviamo. Oggi come sappiamo non è più possibile ignorare questo aspetto. Tuttavia, inevitabilmente, la creazione di un prodotto di design ‘sostenibile’ segue una sua strada distinta dai criteri del processo edilizio. Il prodotto infatti è molto vicino all’uomo, tanto da doverlo seguire nel suo quotidiano. Infatti deve svolgere al meglio la sua funzione, deve facilitare la vita, venire posato e spostato ed essere realizzato con la giusta dose e tipo di materiali ed energia. Tutti questi aspetti devono essere valutati pensando al ciclo – o ai cicli di vita – del prodotto. Lo studio di un arredo o di un complemento sostenibile richiede molto tempo, perché molte volte si raggiunge un risultato ma poi la sua analisi è da trascorrere nella continua ricerca di soluzioni, perché si scoprono nuovi materiali, nuove attrezzature, nuovi processi, etc . E’ quindi un processo di pensiero circolare, nel senso di continuo, particolare e molto articolato, che si realizza nella continua sperimentazione di soluzioni e materiali, ma soprattutto nel costante ripensamento delle risposte via via raggiunte per un loro miglioramento possibile. 

N – Secondo Lei è più semplice progettare tenendo conto dell’anima dei materiali e di una  metodologia ecosostenibile, oppure alla fine ci si imbatte comunque in scenari “sicuri” liberi da responsabilità ed in “reticenti innovatori”?

G – La gente è portata per natura a cercare risposte semplici. E’ un fatto naturale con il quale anche il designer si confronta costantemente. La forza dell’innovazione nel campo del prodotto sta nel riuscire a dare soluzioni semplici che però nascondono un percorso complesso che ha già tenuto conto ed ha affrontato a monte molteplici parametri. E nel progetto di un prodotto sostenibile questa complessità aumenta.  L’obiettivo  progettuale sarebbe quello di dare alle persone un oggetto che sia strumento e compagno di uno stile di vita normale, che competa con la produzione tradizionale di tipo lineare, ma con in più un approccio ad un economia di tipo circolare, più sostenibile. Ma senza che questo debba comportare delle rinunce rispetto al prodotto realizzato con approccio tradizionale, anzi. In modo che le persone abbiano la possibilità di scegliere. A mio avviso la gente sta cambiando la propria mentalità ed è molto più cosciente rispetto ad anni fa. Il ragionare su componenti e processi produttivi sta entrando nella mentalità collettiva come una rivoluzione silenziosa, perché sempre più la gente inizia a prendere coscienza verso la salute dell’ambiente. Ed inizia a prendere coscienza dell’importanza della sua scelta di acquisto. 

N – Quali le caratteristiche necessarie perché un progetto di design possa essere definito Ecosostenibile?

G – Come accennavo prima, il progetto ecosostenibile è molto complesso perché deve ragionare su maggiori fattori e parametri, sia sui materiali e sui processi produttivi, ma in più si deve interrogare sulla “qualità” di vita del prodotto dopo la sua produzione e pensare anche al suo fine vita. Deve garantire al prodotto una vita lunga il più possibile, pensando anche ad aspetti come la riparabilità, la personalizzazione, la trasformabilità per sopravvivere al cambiare delle mode e degli ambienti e combatterne, se possibile, l’obsolescenza anche di tipo “semantico”.

N – Cosa lo ha spinto a pensare che un complemento realizzato in cartone alveolare, un materiale povero ed normalmente utilizzato per il packaging, potesse essere esso stesso arredo protagonista e portatore di bellezza?

G – Principalmente io ho utilizzato e utilizzo il cartone Ondulato, di vari spessori e stratificazione di onde. Sicuramente più del cartone alveolare, perché è il materiale che mi ha permesso di raggiungere alcuni obiettivi che mi ero prefissato, e perché mi piace una certa texture che si viene a creare. Li ho comunque sperimentati tutti e due oltre anche altre tipologie di cartone e cartoncino teso. Il cartone se usato in certi modi può essere un materiale estremamente sensoriale: è particolare al tatto, alla vista e, grazie all’aspetto differente delle sue superfici e del suo spessore, si presta ad essere oggetto di suoi particolari effetti plastici, differenti da qualsiasi altro materiale. Con il mio percorso ne ho studiato le caratteristiche, sia da solo che “contaminato” con altri materiali, cercando di esaltarne alcuni per renderlo il più performante possibile. L’idea di associarlo anche ad altri materiali mi ha permesso di creare interessanti effetti e di aumentarne la resistenza e la solidità, preservandolo il più possibile. La contaminazione per me è un valore.

N – Semplicità, visione e circolarità, possono essi definire il concetto di Bellezza?

G – Parlare di bellezza è sempre un argomento delicato, anche perché la bellezza dipende principalmente dall’osservatore, dal suo vissuto e dalla stratificazione delle sue esperienze, oltre che dalla sua educazione e dai valori riconosciuti dalla società a cui appartiene. Oltre ad altri e ulterioriaspetti, anche complessi. Diciamo che Semplicità, Innovazione e Circolarità per me sono aspetti che concorrono a costruire il concetto di bellezza di un oggetto, sia fisico che di tipo digitale.

N – Potrebbe parlarci della Sistematicità e la trasformabilità in un ottica di Green Economy e di circolarità? 

G – E’ un discorso ampio che avrebbe bisogno di uno spazio dedicato per poterne approfondire l’argomento. E sarebbero necessari anche vari altri contributi. Sicuramente due degli aspetti che avranno sempre maggior peso e con cui dovremo sempre più confrontarci nel futuro saranno: sistematicità e complessità. Sistematicità perché tutto diventa sempre più legato ed interconnesso, sistemico e diffuso, ed ogni azione può produrre conseguenze più difficili da circoscrivere. Per fare un esempio anche semplice e un po’ banale: se viene sversata una certa quantità di olio usato, altamente inquinante, in maniera scorretta in un tombino della strada (oppure in un corso d’acqua), e non viene smaltito correttamente come previsto per gli oli usati, questo (oltre che essere illegale) potrà avere conseguenze anche a km di distanza, in altri ecosistemi. Eppure una volta sparito nel tombino (o nel corso d’acqua) io non vedo più la presenza della mia azione, e posso illudermi che sia sparita, ma invece questa avrà gravi conseguenze, ampie e durature, molto lontane da dove è stato svolto il fatto.   Complessità, perché è un altro dei fattori in aumento e ci costringerà a gestire sempre più situazioni, a livelli differenti. Facciamo solo un esempio di quanti più sistemi di comunicazione dobbiamo gestire attualmente rispetto a solo 30 anni fa, e questo aumenta la complessità della gestione dei nostri tempi e modalità comunicative. Se ne potrebbero fare molti altri di esempi.

N – Le parole “osare”, “sperimentare”, sicuramente ci impongono ad andare “oltre” e le stesse, del resto, sono racchiuse nella parola progetto con annesse difficoltà e limiti. In quali difficoltà ci si imbatte ogni qualvolta il progetto si spinge oltre quei limiti?

G – Il mio lavoro mi porta costantemente a lavorare su un territorio di frontiera, a cercare novità e sperimentarle, consapevole che solo la sperimentazione ti permette di arrivare a risposte diverse. la curiosità, poi, è un alimento indispensabile del progetto. Spesso devi cambiare strada,  abbandonare la via conosciuta e sicura per esplorare nuovi percorsi. Le difficoltà non sempre sono negative, perché è in quella zona che forse riesci ad andare oltre. Ma non sempre si riesce.

N – Lessmore è una azienda conosciuta come uno dei punti di riferimento nella ricerca green nell’arredo, della quale Lei è art director e designer. Da circa due anni è anche Art Direttore e direttore del design Parasacchi Home, nella quale ha già iniziato ad introdurre alcuni approcci green. Sono due aziende, con le quali è stato presente sia al FuoriSalone del Mobile di Milano che  alla “Milano Food City”; Lessmore con i suoi complementi in cartone assemblati a secco, e Parasacchi Home con una particolare reinterpretazione e riutilizzo delle bobine industriali in plastica che hanno contraddistinto l’azienda Parasacchi,  rendendoli  oggi inediti complementi per il Living ed inoltre sta sperimentandone anche l’utilizzo di nuovi materiali ecosostenibile.

Cosa prova quando riesce ad ideare un oggetto al quale ha dato una nuova vita, quando uno scarto diventa risorsa?

G – Per me uno ‘scarto’ non è solo un avanzo di qualcos’altro, ma può diventare un elemento da esaltare. Cerco infatti di creare oggetti che non diano mai un’idea sacrificante, ma che diano invece la sensazione opposta, ovvero quella di essere prodotti di ultima generazione rispondenti ad una sensibilità molto attuale. E’ questo l’orizzonte entro cui cerco di svolgere il mio lavoro.

N – Ho trovato bellissima ed attualissima la citazione del libro di Philip K. Dick  “Do Androids Dream of Electric Scheep (1968)…”MA GLI ANDROIDI SOGNANO PECORE ELETTRICHE?” ad un suo recente intervento al TEDx Varese 2018. Potrebbe dare qualche consiglio ai cari giovani designer per affrontare le loro sfide di idee e del progetto?

G – Vorrei dire solo di non cedere mai ad un’idea stereotipata di progresso e di ricordare sempre che siamo uomini che vivono su questo pianeta in cui la vita cerca sempre la sua strada, in ogni forma. 

E’ sempre un grande piacere poter dare voce al Buon Design, grazie e arrivederci a settembre con Materia 18.

Evviva!

Natalia Carere

Gli occhi rosa del progetto

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Cara e affettuosa tribù del design, in questo nuovo appuntamento con il blog “ il design è per sempre ”, vorrei parlarvi del design al femminile non mettendo in luce le enormi personalità femminili che chiaramente hanno fatto la storia del design a pieno titolo, restituendo tutta una serie di verità storiche in essa contenute, piuttosto il mio intento è quello di farvi una breve comunicazione sulle giovani designer che si affacciano prorompenti al panorama del design italiano e internazionale, ognuna dotata di una originale matrice espressiva, a tratti unconventional , un pò irriverente e ironico, colorato e poetico come piace a noi della tribù del design.

Considerando l’attuale momento storico, socio-culturale, il progetto di una nuova generazione di donne designer mi affascina perché si rivela alternativo, originale e coraggioso, libero da vincoli formali e funzionali gettando il loro “occhio rosa” oltre quel confine stereotipato del rigore e della pulizia formale, e che sembra essere un efficace antidoto alle tendenze e alle temporanee manie di quel design “stampo” e di una produzione seriale e troppo spesso “senz’anima”.

Di seguito qualche nome delle “ Unconventional Woman ” del design che emergono in questo momento e che hanno al loro attivo collaborazioni con grandi marchi e aziende del design italiano ed estero….

Elena Salmistraro

Product designer e artista che cerca di donare la sua eclettica personalità agli oggetti che disegna…affermando l’importanza delle sovrapposizioni, gli scambi e stratificazioni di moda, design, grafica, illustrazione e cinema, al punto di fondersi per plasmare nuovi alfabeti non temendo il figuratismo ma al contrario sublimandolo..

Cristina Celestino

Product designer e Architetto che stupisce per il suo tratto fortemente “evocativo” e “onirico”, dal segno riconoscibile dove la sensibilità architettonica s’intreccia con l’innovazione formale , con una rilettura inedita di materiali tradizionali, usando colori imprevisti e per questo fortemente caratterizzanti i suoi progetti che si connotano di quella sensibilità femminile e romantica.

Serena Confalonieri

Interior Designer che vede i suoi progetti come “ catalizzatori di buon umore”, creando una tensione e un’affinità elettiva tra i suoi oggetti e il possibile fruitore, cose alle quali “affezionarsi” (che meraviglia ndr)

Nika Zupanc

Product Designer di origini Lubiane – il suo progetto comunica le cose che non possono essere raccontate, adoperando una rottura poetica in un mondo di design e interni, i suoi prodotti ed installazioni sfidano il razionale, dando voce all’istinto, all’eclettico e all’intimo, le sue opere son il risultato di relazioni ispiratrici dalle frontiere esterne di tecnologie, materiali e possibilità, e a mio parere “infinite”.

Bethan Laura Wood

Designer Inglese – appartenente alla tribù del design “ rumoroso” e “ manualdigitale “ , imprime ai suoi progetti una carica di colore e dettagli, e il primo veicolo per trasmetterlo è indossando le sue forme, un lavoro continuo e proteso ad esplorare la relazione che intercorre tra le persone e le cose, nella vita quotidiana e trasformando queste cose…in conduttori sociali. 

Astrid Luglio

Product Designer – Il suoi progetti, spesso ispirati al mondo del cibo, della cultura e della sua storia personale, adottano generalmente un approccio multidisciplinare che si concentra sull’aspetto interattivo e che possono generare prodotti e spazi, attraverso la creazione di artefatti ed esperienze che indagano sul rinnovamento di un involucro sensoriale. 

Sara Ricciardi

Set designer / Product Designer – è un astro nascente nel firmamento del design italiano. I suoi progetti sono una costellazione di opere “affette da sindrome da Peter pan“ che trasudano creatività. Si definisce “una nebulosa che ingloba e si espande, innamorata dei materiali, il suo metodo progettuale che è un mix di ricerca, espressione formale, caos e ironia. Definisce la creatività «… un muscolo da allenare, ogni cosa è fonte di ispirazione: i libri, la natura, le persone, le mostre e lo studio. Mi piace attingere da ambiti diversi e poi impastarli insieme».

 

Con questa forbita fucina rosa, ho voluto porre alla vostra attenzione solo alcune delle giovani designer, forse quelle che, ad un’osservatrice come me, incantata dalla magia del design, sono saltate all’occhio per le forti identità capaci di opporsi alla statica e ripetitiva “kermesse “ di quel design che, come un regalo riciclato, cambia solo la sua confezione!

A prestissimo, seguiteci!

Natalia Carere

Materia incontra Imma Matera

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Intervista alla giovanissima designer Imma Matera, vincitrice del Premio “Guglielmo Papaleo” della seconda edizione di Materia Independent Design Festival.

N: Gentilissima Imma, quale significato dai alla parola “design”?

I: Il design oggi è diventato una forma di espressione ricca di contaminazioni. La parola design delinea un grande sottoinsieme di modi di progettare e di approcci. Il mio pensiero personale o meglio filosofia definisce il design come un vasto contenitore di idee, di persone, di luoghi concretizzati in prodotti accessibili che ci permettono di progredire.

N: Quale è stato il tuo percorso per diventare “product e industrial designer”?

I: Subito dopo il diploma di liceo scientifico seguendo la mia passione per la fotografia e l’arte ho deciso di iscrivermi alla facoltà di architettura di Roma con indirizzo Disegno Industriale. L’esperienza lavorativa in uno studio di progettazione e la mia città di origine, Matera, hanno stimolato il mio interesse per il mondo del design del prodotto legato all’artigianato spingendomi a continuare gli studi specializzandomi in Product design.

N: Fantasia, invenzione, creatività ed immaginazione, sono elementi importanti per la progettazione contemporanea nel campo del design. Che ne pensi?

I: Gli elementi di cui parli sono fondamentali per una buona progettazione. Tuttavia io aggiungerei due parole: ricerca e concetto come elementi di carattere identitario fondamentali e rappresentativi della visione del designer e di ciò che si vuole comunicare attraverso gli oggetti.

N: Parlando di progetto, ci potresti parlare del tuo primissimo approccio e cosa è cambiato da allora ad oggi? Hai delle tue istruzioni per “l’uso”?

I: Il mio primo approccio al design è stato prettamente industrial dovuto alla mia formazione universitaria. Avevo una visione sicuramente molto acerba rispetto ad oggi, stavo apprendendo i vari metodi. Tuttavia sono state fasi stimolanti per crescere e non smettere mai d’imparare e per capire soprattutto quale era il mio percorso. Oggi ho una visione più chiara di ciò che sta alla base della mia progettazione, sicuramente prima non avrei mai pensato di dare molta importanza alla sperimentazione dei materiali e al racconto del prodotto dal punto di vista concettuale. Non ho delle vere e proprie istruzioni ma consigli. Sicuramente leggere dei grandi maestri del design, osservare e ascoltare sono tre ingredienti fondamentali.

N: Cosa guida il tuo gesto creativo, i materiali o privilegi il disegno?

I: Sicuramente i materiali sono alla base della mia progettazione, la sperimentazione di questi e l’espressività. Non esiste il disegno a priori ma il concetto, la storia raccontata attraverso il segno.

N: Per te è importate che un oggetto esprima l’identità del territorio? Della sua tradizione?

I: Al giorno d’oggi si parla molto di KM0, sostenibilità intesa non solo come “ambiente” ma sostenibilità territoriale come valorizzazione di luoghi. Raccontare la storia di luoghi, di persone e oggetti legati alla tradizione attraverso l’ironia o un materiale tipico è sicuramente un modo per parlare di se stessi, dell’importanza che noi attribuiamo agli oggetti di uso quotidiano e allo spazio che ci circonda. Quindi sì, è importante progettare per il proprio territorio. L’Italia è un paese ricco di risorse legate alla tradizione, l’arte, la cucina, i riti. E’ un contenitore che necessita di essere raccontato attraverso le nostre sensazioni, dare valore agli aspetti materiali e immateriali di un luogo, la storia e i simboli che esprimono il genius loci attraverso gli oggetti.

N: Qual è il tuo rapporto con l’industria? E con l’artigianato?

I: Ad oggi dalle mie esperienze attuali e passate non posso vantare di un rapporto con le industrie. La mia visione rispecchia molto quelli che sono i valori dell’artigianato, dall’unicità del pezzo all’irregolarità e all’imperfezione che considero un valore aggiuntivo al prodotto finito. Tuttavia penso che i due percorsi ad un certo punto s’incontrano soprattutto nella fase di prototipazione e sviluppo del progetto.

N: Ti senti più affine al pensiero/metodo progettuale di Bruno Munari, Enzo Mari, Alessandro Mendini o Philippe Starck?

I: Senza dubbi Bruno Munari e il suo “mondo”.

N: Fra le caratteristiche più importanti per una buona progettazione vi sono la visibilità e la comprensibilità, soprattutto per un design, che potrebbe essere definito “accessibile”, trovi che gli oggetti progettati oggi rispecchino queste caratteristiche, soprattutto quando parliamo di oggetti di uso quotidiano?

I: Nella produzione attuale degli oggetti così definita “accessibile” i due concetti di visibilità e comprensibilità sono sicuramente espressi, tuttavia ciò che in alcuni casi viene a mancare è la riconoscibilità del prodotto. Secondo il mio modesto punto di vista l’oggetto non deve diventare “anonimo”, deve comunicare non solo la sua funzione ma l’identità progettuale, l’impronta del designer. In un certo senso l’oggetto diventa mezzo di espressione del progettista.

N: Un aggettivo per definire la sensazione che provi mentre realizzi i tuoi progetti?

I: Poetica

N: Quanto è stato importate collaborare con i “GUM DESIGN”?

I: Collaborare con i Gumdesign è stato fondamentale non solo per la mia formazione. Devo dire che Laura e Gabriele mi hanno trasmesso due cose importanti. La prima è l’amore per questo lavoro, la seconda è la passione con cui fare questo lavoro. A volte in studio ci si fermava a chiacchierare oltre le ore di lavoro e la maggior parte delle volte erano aneddoti della loro esperienza, consigli o “chicche” che ti arricchivano. I Gum oltre ad essere dei professionisti io li definirei “una guida” che ti accompagna passo dopo passo. Formarsi in una realtà importante come quella di Gumdesign ti porta ad avere una maggiore attenzione al progetto, specialmente se si parla di autoproduzione, curando tutti gli aspetti soprattutto da un punto di vista concettuale, di racconto del prodotto.

N: Cosa è significato, per la tua crescita professionale, aver vinto la borsa di studio “Guglielmo Papaleo” alla seconda edizione Materia Idependent Design Festival ” 2017 ?

I: Partecipare e poi vincere il festival ha significato soprattutto credere in me stessa. Mi ha dato la spinta per pormi nuovi obiettivi e la consapevolezza di poterli raggiungere. Ha ampliato sicuramente la mia rete di contatti con designer importanti e artigiani con cui tutt’oggi lavoro. E’ stato soddisfacente per una designer del sud vincere la borsa di studio “Guglielmo Papaleo” con un progetto che racconta il mio territorio e questo mi ha dato la possibilità e il supporto concreto di realizzare i miei prodotti e di poter lavorare su nuove idee.

N: Un tuo messaggio per la tribù del design, a chi si accinge come il protagonista de il “Compagno Segreto” di Joseph Conrad, dovrà navigare in questo mare.

I: Osservare per imparare, progettare con il cuore, non smettere mai di sognare!

Grazie cara Imma per la tua gentilissima ed affettuosa collaborazione, noi di Materia ti auguriamo di procedere sempre con il design nel cuore!

Articolo a cura di Natalia Carere

Voglio essere sempre curioso!

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“L’esperienza non dà certezza nè sicurezza, ma anzi aumenta la possibilità di errore. Direi che è meglio ricominciare ogni volta da capo con umiltà perché l’esperienza non rischi di tramutarsi in furbizia” Achille Castiglioni – (Milano 1918-2002)

A pochi giorni dal centenario della sua nascita, noi di Materia vorremmo parlarvi del grande AchilleTrasformare un oggetto quotidiano, ordinario, in un progetto di design. La sua produzione vanta 290 prodotti di design industriale, 480 allestimenti, 191 progetti di architettura. Oggi decine di aziende – come Flos, Zanotta o De Padova – hanno in produzione suoi pezzi. 

La lampada Arco è tra le più imitate al mondo. Eppure, sapevate che l’oggetto di cui andava più orgoglioso, fosse l’interruttore VLM per la luce? Egli Diceva: “Ma ti rendi conto? Sono entrato nelle case di tutti!” Capire quanto Castiglioni sia presente nella vita di ognuno di noi, è facile. Guardiamo ad alcuni dei suoi progetti. Pensate ad esempio alla lampada Parentesi il cui nome nasce dalla forma del tubo in

acciaio sagomato, elemento centrale della lampada, che ricorda appunto una parentesi. L’idea di una lampada che potesse scorrere in verticale dal pavimento al soffitto e viceversa e ruotare di 360° attorno ad un perno… Pensiamo a Mezzadro, lo sgabello che Achille e Pier Giacomo Castiglioni progettarono nel 1957, partendo dall’idea di utilizzare il sedile di un trattore agricolo fabbricato circa cinquant’anni prima… E che dire di Sella, che è stata ideata come uno “sgabello per telefono” realizzato con elementi industriali. La seduta è una vera sella di bicicletta da corsa, in cuoio, di colore nero fissata con il classico morsetto a leva ad un’asta in acciaio verniciato di colore rosa. La base, in fusione di ghisa del diametro di 33 cm, consente l’equilibrio dinamico e alla seduta di stare “sempre in piedi”.  Lʼaltezza totale del sedile è di 71 cm ed è estensibile. E tantissimi altri progetti, ma alla base vi si trova sempre come comune denominatore, la sperimentazione e la praticità, la raffinatezza e semplicità sono gli elementi chiave intorno a cui ruota la ricerca di Achille Castiglioni annoverato a pieno titolo tra i più grandi ed influenti designer del Novecento. Sempre avvezzo al gioco e all’ironia, prediligeva la ricerca e rifuggiva l’ovvietà e la banalità!L’eleganza e la purezza delle forme hanno reso i suoi oggetti talmente iconici da essere considerate vere e proprie opere d’arte ospitate nelle collezioni permanenti dei più importanti musei del mondo come il MoMa di New York o la Triennale di Milano. Una storia costellata di successi caratterizzata dalla ricerca costante su forme, tecniche e nuovi materiali e consacrata da ben 14 Compassi d’Oro.

Articolo di Natalia Carere

Caro giovane designer…

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Ben tornati amici de “il design è per sempre”. Mi piacerebbe introdurvi alla nuova avventura di “MATERIA 18” e al consueto appuntamento con il blog dedicato al design….con un brano composto da alcune indicazioni e consigli tratti da un delicatissimo e appassionante scritto del visionario Alessandro Mendini, che io stessa rapita dalle frequenze emotive emanate, sento il dovere e l’urgenza di sottoporvi.

Era il 1984 e un designer già affermato come Alessandro Mendini lanciava ai suoi giovani colleghi un messaggio chiaro che poi, in un mondo ancora pieno di pirati, mappe da decifrare, tesori nascosti e anonimi eroi, resta comunque attuale, anzi, a dir poco senza tempo, proprio come le pagine di un classico nella memoria di chi le ha fatte sue.[edgtf_separator class_name=”” type=”full-width” position=”center” color=”#FFCB05″ border_style=”” width=”” thickness=”” top_margin=”” bottom_margin=””]

Caro giovane designer,

se io fossi un designer molto giovane avrei la certezza che questo mestiere è molto difficile, perché è ad una grande svolta, e non si sa bene metterlo a fuoco nelle sue molteplici fisionomie, come pezzo di una realtà sociale i cui connotati sono troppo sfuggenti. Cercherei di andare alle radici del problema, e mi domanderei se sia ancora utile usare per questo genere di cose la stessa parola Design, o Nuovo Artigianato.
Se io fossi un molto giovane designer, per così dire “tele-artigiano” userei il metodo dell’autodifesa tipico dei giovanissimi, e mi libererei dall’oppressione di tante parole (specializzazione? funzione? standard? professione? impiego? serie?). Cercherei di riprogettare o di de-progettare ex novo un mio “diverso” problema progettuale. Perciò in quest’epoca, dove uno dei punti più certi è l’attitudine pluri-generazionale verso un “pensiero molle”, incerto e labile, cercherei comunque la forza (la generosità) di espormi al disagio dell’ignoto alla ricerca finalmente, di generi di design più completi, stratificati e magici, di design emozionali.
Quindi, se io fossi un giovane designer, percorrerei sentieri incerti, tortuosi e antichi, per trovare oggetti al di là del mio breve tempo, in una visione circolare fra passato, presente e futuro.
Se io fossi un giovane designer cercherei una mappa di riferimento al mio operare.
Penserei che i miei frammenti ( le mosse minime costituite dai miei oggetti) debbano essere agopunture nel flaccido corpo di un contesto sbagliato!

Articolo di Natalia Carere

Design iconico: Zanuso

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Salve amici de “il Design è per sempre”… oggi non potremmo parlare di design quotidiano, democratico e industriale, se prima non parlassimo dell’immensa opera di sviluppo disciplinare e innovativa che Marco Zanuso elaborò, condusse e diffuse dal 1938 al 2001.

Non esiste il confine tra artigianato e design. Quello che noi facciamo sul modello, che poi sarà riprodotto 50.000 volte, è una attività in cui portiamo tutta la nostra esperienza, sia artigianale, sia industriale, sia disciplinare, sia accademica.
Marco Zanuso (Milano 1916-2001), è considerato una pietra miliare del design industriale italiano.

Ricerca, sperimentazione, tecnologia, progettazione, passione sono le sue parole d’ordine. Attivo nel campo del design industriale per oltre cinquant’anni, a partire dal secondo dopoguerra, Marco Zanuso ha collaborato con le più note aziende nei settori dell’arredamento (Arflex, Kartell, B&B, Bonacina, Elam, O-Luce) e degli elettrodomestici (Brionvega e Vortice), progettando diversi oggetti dalle linee accattivanti, ricche di colori e dalle forme morbide che hanno costruito il nostro paesaggio domestico e che ne denunciano una genialità impareggiabile.

Si forma nel pieno della tradizione razionalista italiana e la consapevolezza dell’urgenza della ricostruzione, ma anche la difficoltà a far riconoscere alle discipline del progetto un ruolo nella costruzione di una nuova società democratica e industriale, lo spinge ad impegnarsi attivamente nel dibattito architettonico e civile, divulgando i principi del funzionalismo come capo redattore di “Domus” (1946-1947), e di “Casabella-Continuità” (1953-1956). Contribuisce altresì a far emergere la questione dell’autonomia del “mestiere” di designer, sviluppando un proprio percorso che lo porta ad occuparsi del sistema industriale con un approccio e una metodologia da industrial designer, basati sui concetti di progettazione integrale e “integrata”.

Zanuso teorizza un approccio “globale” all’intervento, in cui il progettista ha il compito di controllare la totalità del processo iniziando dai ruoli attribuiti a organizzazione e gestione delle differenti competenze, e agli aspetti tecnologici e di produzione. Il suo lavoro è caratterizzato da un modo di progettare “coordinato e pre-ordinato” condotto spesso con Richard Sapper che collabora con lo studio dal 1956 al 1971, basato su ricerca e sperimentazione e che contempla un’analisi accurata delle questioni progettuali e incessanti confronti fra disegno, modelli e prototipi, utilizzando nuovi materiali e nuove tecnologie (è il primo ad applicare nuovi materiali e tecnologie agli oggetti di uso comune) che lo spingono a trovare inedite soluzioni costruttive, funzionali e formali , mobili-meccanisco insistendo sul rapporto fra portabilità e domesticità.

Ricordiamo alcuni suoi progetti iconici…

design iconico: zanusso
Da Sinistra: Televisore ALGOL 11 – BRIONVEGA (Zanuso-Sapper) 1964; Televisore DONEY – BRIONVEGA (Zanuso) 1962-1964; Radio TS 522 – BRIONVEGA (Zanuso) 1962-1964

 

design iconico: zanusso
Divano SLEEP-O-MATIC – ARFLEX (Zanuso) 1954-1963

Di Natalia Carere per Catanzaro Design Week